domenica 29 aprile 2007

PRIMO AMORE



Un film sulla perdita, il quinto di Matteo Garrone.Non bisogna lasciarsi fuorviare dal titolo, tratto da un opera teatrale di Beckett. In scena c’è una forma particolare d’amore, o forse sarebbe meglio dire la sua estremizzazione. L’amore è ossessione, è la pretesa di poter modellare l’altro; c’è l’altra faccia dell’amore, quella del possesso, dell’annichilimento di sé, della solitudine.. E allora non si capisce se l’atto d’amore è di chi si lascia trasformare, o di chi pensa di fare il bene di entrambi iniziando l’opera di modellismo. Perché tutto il film ruota su un concetto fondamentale: lasciarsi tutto alle spalle, perdere ogni contatto con il passato; e quando sembra non sia rimasto più niente, continuare a scavare, togliere lo strato di catrame che riveste la superficie delle cose, e bruciare tutto nel fuoco. Quello che resta è la cosa più importante. Vittorio - un personaggio antipatico come pochi, interpretato dallo scrittore Vitaliano Trevisan - è alla ricerca di una donna, o, come dice lui, di un corpo e di una testa, nell’ordine. Trova invece in Sonia prima la testa, e poi il corpo. Approssimativamente tra i 55 e i 57 kg. Troppi. Il film racconta la loro storia, il loro incontro e poi la loro difficile convivenza. Vittorio vuole modellare a suo piacimento il corpo della compagna: la sua è una vera e propria ossessione. Solo quando avrà perso almeno 10 kg potranno cominciare a vivere. Come un fiore senz’acqua, pian piano la ragazza appassisce. La bilancia segna un’inesorabile perdita di peso. L’unica traccia d’amore forse è proprio lo slancio di Sonia: annienta se stessa e i propri bisogni elementari per fare spazio ai desideri di quell’uomo che a malapena conosce, si autoinfligge pranzi e cene a base di carotine e insalata per realizzare i sogni (le manie) di Vittorio. E renderlo un po’ meno triste. Ma può una relazione basarsi sull’annientamento di sé, sulla prepotenza, sul sogno di perfezione, di un corpo che rispecchi un ideale?La risposta sta nel finale, inevitabile. E indecifrabile: happy end o tragedia? Dipende solo e soltanto dal punto di vista. Il ritmo è pacato, la storia fa frullare in testa pensieri strani e disturbanti sulla violenza di cui si può nutrire l’amore. La voce off del protagonista strascica le parole, infastidisce. L’accento veneto non corretto immerge i personaggi in un ambiente reale. Cosa resta allora? Restano le ossa, resta lo scheletro portante, resta il potere e la forza della pura immagine, l’essenza del cinema. L’inquadratura è sempre ricercata, ma la macchina da presa alla fine viene sempre calamitata sui corpi di Sonia e Vittorio. A volte l’occhio si avvicina così tanto alla loro pelle da sfocare. Sono dettagli che non consentono una visione d’insieme del corpo, e che quindi, in un certo senso, nascondono. “Primo amore” è un film che cerca di bruciare tutto il superfluo e di recuperare l’essenziale: l’immagine e il corpo.

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