The Black Dahlia, ovvero «Dalia nera», si ispira a un celebre caso di cronaca che sconvolse Los Angeles nei primi giorni del 1947: una ragazza di nome Elizabeth Short, poi soprannominata appunto «la dalia nera», venne trovata orrendamente assassinata in un terreno incolto dalle parti di Hollywood. Era una delle tante ragazze venute a Los Angeles per far fortuna nel cinema. Anni dopo il giovane Ellroy si votò a raccontare la sua storia, perché sua madre era stata uccisa in circostanze piuttosto simili. Solo rielaborando l'omicidio della «dalia nera» Ellroy è riuscito a fare i conti con il proprio passato: e nel romanzo ha inventato due poliziotti, Lee Blanchard e Bucky Blelchert, innamorati della stessa donna (la bionda Kay) e ossessionati, come lui, dalla morte della «dalia». È lo spunto per un viaggio negli angoli più bui e fetidi di Hollywood Babilonia, in un mondo dove tutti - tranne il «puro» Bucky - nascondono cose terribili. Si va da un ring dove schizza il sangue e saltano i denti alle strade violente di remote guerriglie urbane, dagli stanzoni della polizia ai ritrovi delle lesbiche, dalla lussuosa residenza di un palazzinaro furfante, a un antro degli orrori ai margini della metropoli sotto la collina con la scritta Hollywoodland. Tutti i personaggi vanno dall'antipatico al repellente e la visione del mondo che esprimono, fra menzogne e turpitudini, è più nera del noir.
Il film non è riuscito, sul piano dell'emozione pura perché debordano le scenografie di scuola (L.A. riscostruita a Sofia), la voce narrante fuori campo, i passaggi di trama tortuosi, le «spiegazioni» puntigliose, e a tratti affiora la maniera. Insomma, De Palma - grazie alla strepitosa versatilità che gli ha fatto firmare numerosi capolavori - tiene testa agli oscuri baratri del libro e porta a termine la missione impossibile, ma non riesce stavolta ad aggiungervi un proprio tocco originale, in qualche modo incandescente o persino irrispettoso. Disuguale, a questo proposito, appare anche lo standard di recitazione: ai due poliziotti ex-pugili Blanchard e Bleichert interpretati con professionale dignità da Aaron Eckhart e Josh Hartnett si contrappongono, infatti, tre complesse e spiazzanti figure femminili che dovrebbero incarnare lo spirito di un'era americana a conti fatti indecifrabile, sospesa com'è tra euforia e degrado, trasgressione e conservatorismo, speranza e disillusione. Mentre Hilary Swank, nel ruolo dell'enigmatica e tarata ereditiera Madeleine, regge il confronto indiretto con le dark ladies di Hammett e di Chandler, la star del giorno Scarlett Johansson sembra calarsi nella parte (un po' alla Rita Hayworth o Lana Turner) della donna amata da entrambi i piedipiatti con imbambolata fissità da minimo sindacale.
Un film grande, in definitiva, che non arriva a diventare un grande film proprio perché la crudeltà diffusa, il sesso sempre equivoco, la spietatezza della megalopoli restano nell'occhio anziché nel cuore e nelle viscere.
Il film non è riuscito, sul piano dell'emozione pura perché debordano le scenografie di scuola (L.A. riscostruita a Sofia), la voce narrante fuori campo, i passaggi di trama tortuosi, le «spiegazioni» puntigliose, e a tratti affiora la maniera. Insomma, De Palma - grazie alla strepitosa versatilità che gli ha fatto firmare numerosi capolavori - tiene testa agli oscuri baratri del libro e porta a termine la missione impossibile, ma non riesce stavolta ad aggiungervi un proprio tocco originale, in qualche modo incandescente o persino irrispettoso. Disuguale, a questo proposito, appare anche lo standard di recitazione: ai due poliziotti ex-pugili Blanchard e Bleichert interpretati con professionale dignità da Aaron Eckhart e Josh Hartnett si contrappongono, infatti, tre complesse e spiazzanti figure femminili che dovrebbero incarnare lo spirito di un'era americana a conti fatti indecifrabile, sospesa com'è tra euforia e degrado, trasgressione e conservatorismo, speranza e disillusione. Mentre Hilary Swank, nel ruolo dell'enigmatica e tarata ereditiera Madeleine, regge il confronto indiretto con le dark ladies di Hammett e di Chandler, la star del giorno Scarlett Johansson sembra calarsi nella parte (un po' alla Rita Hayworth o Lana Turner) della donna amata da entrambi i piedipiatti con imbambolata fissità da minimo sindacale.
Un film grande, in definitiva, che non arriva a diventare un grande film proprio perché la crudeltà diffusa, il sesso sempre equivoco, la spietatezza della megalopoli restano nell'occhio anziché nel cuore e nelle viscere.
VOTO: 6
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