Il titolo del film in qualche modo già preannuncia quello che sarà.
Questo film, così come ha dichiarato lo stesso Fellini, è un film su Giulietta, disegnato appositamente su di lei. In esso c’è tutto il percorso interiore di Giulietta, che alla magia della sua vita quasi da regina, da angelo del focolare, è costretta a combattere contro i fantasmi del suo passato, contro gli impulsi sessuali erotici, che in realtà non le appartengono, ma che emergono in concomitanza con il “presunto” tradimento del marito; è costretta a combattere contro quel complesso di vittima che sua madre, splendida rispetto a lei, ha negli anni cooperato a rassodare in Giulietta, una madre che ha altre figlie favorite, come nelle fiabe, e respinge e tratta, come cenerentola, Giulietta.
Questo percorso interiore, proprio come se fosse un trattamento di psicoanalisi, si dispiega e prende forma mischiando, miscelando, intersecando, storie vere a sogni, a presunte realtà a incubi, presenze e stregoni-veggenti. La “realtà” di Giulietta è rivisitata dall’onirico, dalle sue paure, dai ricordi del passato.
Il declino della sua storia d’amore col marito trova l’apice quando quest’ultimo, dimenticando il loro anniversario, e vanificando la serata intima preparata da Giulietta, invita a cena amici. Durante una seduta spiritica l’anima di una defunta le intima di seguire Susy, la sua vicina di casa, che le avrebbe insegnato “l’ars amandi”. Da qui ha inizio il lungo viaggio nella mente e nei ricordi: sua madre, nei ricordi sempre bella, sembra una principessa; la scuola, la recita in cui le interpretava la santa bruciata nella graticola. Ad accompagnare Giulietta in questo percorso ci sono soltanto amici così diversi da lei: c’è Valentina, col suo fare superficiale e un po’ svampita, capace però a volte di stupire con la “profondità” di alcune sue riflessioni (ad esempio quello sulla rugiada, o sulla vita domestica) sembra sempre alla ricerca di un qualcosa, instancabilmente, senza mai capire esattamente quale sia l’oggetto della sua ricerca; alle volte sembra quasi un cane che gira intorno alla sua coda, ignaro che ciò a cui sta girando intorno è se stesso; c’è sua sorella, così sospettosa nei confronti di suo cognato da convincere Giulietta a rivolgersi ad una agenzia investigativa (Occhi-di-lince); c’è la scultrice capace di coniugare arte, metafisica, sesso, in un unicum così ben miscelato da non riuscir più a capire come in realtà l’uno abbia potuto intersecare gli altri, e poi c’è Susy. Susy rappresenta tutto quello che Giulietta non è, probabilmente è il suo alter ego, probabilmente è tutto ciò che Giulietta, attraverso la sua cultura, ha deciso di non esser mai. Susy è la sacerdotessa di Eros, dell’amore carnale, o forse sarebbe meglio dire degli amori carnali. Susy e Giulietta rappresentano due modi diversi di amare: Susy con la sua carnalità, sensualità sembra giocare con l’amore, tenerlo vivo attraverso giochi di seduzione; Giulietta sembra quasi essere devota all’amore, è come se santificasse suo marito, il matrimonio e lo adorasse più che amarlo. Susy mostra a Giulietta l’altro lato dell’amore quello che si è sempre negata, perché considerato “poco pulito” “non degno”. Ma Giulietta più che da quell’amore sembra affascinata dai trucchetti di Susy dal suo modo così innocente di flirtare con altri uomini che non siano il suo promesso sposo. Nonostante la possibilità per Giulietta di tradire realmente suo marito con l’efebo, offertole da Susy, ella scappa via, fugge, perché non turbata da questi. L’unico vero turbamento, e forse reale tradimento (anche se solo pensato) è per l’amico del marito Josè de Villalonga, un torero capace di affascinarla perché come lei dal “cuore puro” e dal “sentimento limpido” portavoce di un amore simile al suo. Forse è grazie a quest’uomo e al ricordo sempre presente del nonno che Giulietta riuscirà a disfarsi di tutti i fantasmi che popolano la sua testa, i suoi ricordi, la sua infanzia; e così come da piccola l’ha salvata dalla graticola (durante la recita) così da grande l’ha salvata nuovamente da tutte le vocine che si rincorrevano nella sua testa. Una tra tutte quella dell’amante di suo marito.
Quello che affascina di questo film sono le sue proiezioni di due mondi estremamente distinti tra loro: c’è il mondo di Giulietta e di Josè de Villalonga, il torero, e contrapposto quello di tutti gli altri personaggi che si “agitano” all’interno di questa storia. Giulietta e Josè sembrano essere degli alieni, perché gli unici ad amare quell’amore così “romantico”, ad essere portavoci di una cultura lontana.
Tutti gli altri personaggi sembrano le continuazioni dei personaggi della Dolce vita, un po’ invecchiati, ma sostanzialmente invariati. Tutti questi personaggi sembrano alla ricerca di qualcosa, qualcosa che non è materiale, corporeo ma metafisico; come se la miseria del mondo reale possa giustificare la loro ricerca di evasione.
Questo film, così come ha dichiarato lo stesso Fellini, è un film su Giulietta, disegnato appositamente su di lei. In esso c’è tutto il percorso interiore di Giulietta, che alla magia della sua vita quasi da regina, da angelo del focolare, è costretta a combattere contro i fantasmi del suo passato, contro gli impulsi sessuali erotici, che in realtà non le appartengono, ma che emergono in concomitanza con il “presunto” tradimento del marito; è costretta a combattere contro quel complesso di vittima che sua madre, splendida rispetto a lei, ha negli anni cooperato a rassodare in Giulietta, una madre che ha altre figlie favorite, come nelle fiabe, e respinge e tratta, come cenerentola, Giulietta.
Questo percorso interiore, proprio come se fosse un trattamento di psicoanalisi, si dispiega e prende forma mischiando, miscelando, intersecando, storie vere a sogni, a presunte realtà a incubi, presenze e stregoni-veggenti. La “realtà” di Giulietta è rivisitata dall’onirico, dalle sue paure, dai ricordi del passato.
Il declino della sua storia d’amore col marito trova l’apice quando quest’ultimo, dimenticando il loro anniversario, e vanificando la serata intima preparata da Giulietta, invita a cena amici. Durante una seduta spiritica l’anima di una defunta le intima di seguire Susy, la sua vicina di casa, che le avrebbe insegnato “l’ars amandi”. Da qui ha inizio il lungo viaggio nella mente e nei ricordi: sua madre, nei ricordi sempre bella, sembra una principessa; la scuola, la recita in cui le interpretava la santa bruciata nella graticola. Ad accompagnare Giulietta in questo percorso ci sono soltanto amici così diversi da lei: c’è Valentina, col suo fare superficiale e un po’ svampita, capace però a volte di stupire con la “profondità” di alcune sue riflessioni (ad esempio quello sulla rugiada, o sulla vita domestica) sembra sempre alla ricerca di un qualcosa, instancabilmente, senza mai capire esattamente quale sia l’oggetto della sua ricerca; alle volte sembra quasi un cane che gira intorno alla sua coda, ignaro che ciò a cui sta girando intorno è se stesso; c’è sua sorella, così sospettosa nei confronti di suo cognato da convincere Giulietta a rivolgersi ad una agenzia investigativa (Occhi-di-lince); c’è la scultrice capace di coniugare arte, metafisica, sesso, in un unicum così ben miscelato da non riuscir più a capire come in realtà l’uno abbia potuto intersecare gli altri, e poi c’è Susy. Susy rappresenta tutto quello che Giulietta non è, probabilmente è il suo alter ego, probabilmente è tutto ciò che Giulietta, attraverso la sua cultura, ha deciso di non esser mai. Susy è la sacerdotessa di Eros, dell’amore carnale, o forse sarebbe meglio dire degli amori carnali. Susy e Giulietta rappresentano due modi diversi di amare: Susy con la sua carnalità, sensualità sembra giocare con l’amore, tenerlo vivo attraverso giochi di seduzione; Giulietta sembra quasi essere devota all’amore, è come se santificasse suo marito, il matrimonio e lo adorasse più che amarlo. Susy mostra a Giulietta l’altro lato dell’amore quello che si è sempre negata, perché considerato “poco pulito” “non degno”. Ma Giulietta più che da quell’amore sembra affascinata dai trucchetti di Susy dal suo modo così innocente di flirtare con altri uomini che non siano il suo promesso sposo. Nonostante la possibilità per Giulietta di tradire realmente suo marito con l’efebo, offertole da Susy, ella scappa via, fugge, perché non turbata da questi. L’unico vero turbamento, e forse reale tradimento (anche se solo pensato) è per l’amico del marito Josè de Villalonga, un torero capace di affascinarla perché come lei dal “cuore puro” e dal “sentimento limpido” portavoce di un amore simile al suo. Forse è grazie a quest’uomo e al ricordo sempre presente del nonno che Giulietta riuscirà a disfarsi di tutti i fantasmi che popolano la sua testa, i suoi ricordi, la sua infanzia; e così come da piccola l’ha salvata dalla graticola (durante la recita) così da grande l’ha salvata nuovamente da tutte le vocine che si rincorrevano nella sua testa. Una tra tutte quella dell’amante di suo marito.
Quello che affascina di questo film sono le sue proiezioni di due mondi estremamente distinti tra loro: c’è il mondo di Giulietta e di Josè de Villalonga, il torero, e contrapposto quello di tutti gli altri personaggi che si “agitano” all’interno di questa storia. Giulietta e Josè sembrano essere degli alieni, perché gli unici ad amare quell’amore così “romantico”, ad essere portavoci di una cultura lontana.
Tutti gli altri personaggi sembrano le continuazioni dei personaggi della Dolce vita, un po’ invecchiati, ma sostanzialmente invariati. Tutti questi personaggi sembrano alla ricerca di qualcosa, qualcosa che non è materiale, corporeo ma metafisico; come se la miseria del mondo reale possa giustificare la loro ricerca di evasione.
VOTO: 8
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