sabato 14 luglio 2007

NEW YORK, NEW YORK


La fine della seconda guerra mondiale viene festeggiata con una grande festa in stile americano, in cui i soldati i comandanti e tutti gli uomini d’armi, si ritrovano in grandi sale da ballo alla ricerca di donne da abbordare. È questo il caso di R. De Niro, Jimmy che punta una donna, L. Mannelli, Francine e cerca di conquistarla. Inizialmente la donna non si lascia convincere dalla sfacciataggine dell’uomo, poi è costretta a cedere al suo fascino. Tra i due non solo nasce attrazione fisica ma diventano anche colleghi di lavoro, lui dirige l’orchestra in cui la donna canta. L’unione tra Francine e Jimmy si rinsalderà col matrimonio, ma con l’inizio del tour che li vede protagonisti, incominciano ad emergere i primi dissapori tra i due. De Niro estremamente geloso ed orgoglioso della propria virilità, la Mannelli consapevole del proprio valore artistico. La notizia dell’attesa di un figlio dividerà concretamente la coppia, Francine decide di tornare a New York per riposare e star tranquilla, Jimmy continuerà il tour ma sarà costretto ad andarsene presto, perché senza Francine l’orchestra non funziona. Ritornando a New York Jimmy sarà costretto a ripartire da zero, cantando ad Harlem con un gruppo di amici di colore, mentre Francine è diventata una star della radio, alla quale è stato proposto un contratto discografico. La competizione tra i due e la netta vincita della donna saranno il motivo definitivo della rottura della coppia. Solo dopo molti anni i due si rincontreranno, quando Jimmy sarà riuscito ad eguagliare il talento e la fortuna di Francine, per la quale aveva scritto la canzone New York New York. Nell’ultima scena Jimmy cercherà di mettere in atto la sua teoria della “grande armonia” impugnando tra le mani successo nella musica, soldi e amore, cercando di riconquistare Francine. Ma la donna non cederà alle sue avance e proseguirà la sua strada senza di lui.
Un musical firmato Martin Scorsese, un De Niro che per la parte ha imparato persino a suonare la tromba, e la MInnelli che è se stessa nella pellicola. Un film di grandi attori che mette in luce la forza di quel sogno americano che animava tutti gli uomini dell’epoca, e che fa da connettivo di quella parte di storia. Un film rafforzato dalle musiche e dai suoi testi.
VOTO: 6,5

INLAND EMPIRE



Dell’ultimo film di David Lynch è quasi impossibile decifrarne la trama, o meglio, poiché io penso che in questo film non ci sia nemmeno uno straccio di canovaccio, preferisco non parlare di trama, ma al massimo, di una idea iniziale.
Laura Dern è una attrice che ha appena vinto una parte per un film a dir poco “maledetto”. Remake di un film iniziato nell’Europa dell’Est e mai terminato, a causa di problemi improvvisi ed imprevisti agli attori protagonisti. Da qui in poi si perde qualsiasi tipo di tessuto narrativo, le immagini iniziano a prendere piede, a susseguirsi così, senza alcun ordine logico o temporale, lasciando intravedere solo uno strascico di “storia”.
Era già successo che nei suoi film Lynch abbandonava qualsiasi filo temporale, mischiando e confondendo passato e presente in un “nuovo tempo” caratterizzato proprio dall’assenza di tempo. In questo film però tutto è portato alle estreme conseguenze. Non esiste un tempo, né oggettivo né tanto meno soggettivo, entro il quale tutto avviene. Non si può parlare né di tempo della mente, né di tempo del cuore, semplicemente è assente. Così come è assente (come ho già detto) qualsiasi tessuto narrativo, addirittura non vengo nemmeno rispettate alcune “norme” fondamentali, come ad esempio la coerenza dei personaggi. In questo film non vi è alcuna corrispondenza nei personaggi. Si prenda la protagonista femminile, appare prima docile e quasi indifesa, poi scurrile e volgare, poi aggressiva e pericolosa. Questo mostra le innumerevoli vite di ogni uomo, le infinite sfaccettature e da al film un senso di avvolgimento su sè stesso in cui continua ad aprire spazi per nuovi mondi senza riuscire completamente a chiudere quelle precedentemente aperti. Probabilmente rientra tutto in un progetto del regista, ma io penso: un film è inevitabilmente un prodotto che il pubblico consuma. Un film, qualsiasi esso sia, è un’esperienza che chi guarda compie con il film stesso. In un film come questo tale esperienza è praticamente impossibile. Il film ha una vita propria in cui vive e si evolve, ma che non permette a chi lo guarda di avere un dialogo con esso. Come si fa a creare un dialogo con qualcuno che fa di tutto per non farsi capire? Sarebbe un’esperienza metafisica.
Vedendo questo film ho provato proprio questa ostinazione nel non dialogo tra regista-spettatore. Già nei film passati Lynch non spiega (evoca); ma qui ha toccato livelli assurdi poiché non solo non spiega, non racconta neppure. Più che una esperienza per lo spettatore a me sembra un esperimento per il regista e per l’attrice (che tra l’altro è pure co produttrice del film), e quindi non si dovrebbero confondere le acque. Non bisogna lasciarsi andare alla frase ormai usurata del “subire il film”. Io penso che un film è un capolavoro nel momento in cui riesce a dialogare con chi lo sta guardando, quando riesce a creare un ponte, un contatto tra l’occhio di chi l’ha diretto e quello di chi lo sta guardando. Qui si perde tutta quella tensione che aveva caratterizzato Mullholland drive o Strade perdute. Il film è privo di tensione, ritmo. Bisogna però dare atto delle sublimi immagini di cui è composto il film. Questo sembra proprio una summa di tutta la poetica di Lynch, non solo riprende facce, ma anche luoghi, colori (ad es. il blu di Velluto blu, il verde di strade perdute, Il rosso arancione di Mullholland drive) musiche e atmosfere; ovviamente riprende le sue tematiche più care, partendo dal doppio, all'analisi della provincia americana, l'esistenza di più mondi l'uno dentro l'altro. Ma nonostante la magnificenza di queste immagini io ho trovato gli stacchi tra un fotogramma e l’altro molto singhiozzanti, per nulla fluidi. In questo film non ci sono solo stacchi registici e narrativi, ma anche di fotografia. Tutto ciò ha reso il film troppo denso, troppo lento. Troppo.
Questo film per me segna un passo indietro di un regista che a me piace tanto, proprio per la sua capacità di coinvolgere passato e presente, realtà e finzione, in un mondo nuovo, che per quanto inisistente e magico, poteva ancora essere compreso e "vissuto" da chi lo guardava; e non soltanto "subito" come avviene in questo film.

lunedì 9 luglio 2007

ANGOLI DI CIELO


Qualcosa c’è che ti fa paura e rende incerto il tuo volo
sarà l’idea che il tempo si consuma e all’improvviso sei solo
Come un attore hai scelto il ruolo di chi è sicuro di sè

ma sai benissimo che la tua arte è nella parte fragile di te

Cerca angoli di cielo, fantastiche visioni
per dare nuova luce ai tuoi occhi
lasciando entrare tutte le emozioni senza far finta che l’amore non ti tocchi
prendi tutti i suoni dal frastuono di ogni giorno
cerca tra la gente le parole
ama la tua vita, non lasciarla andare
questo è il momento

Perchè non c’è nessuna differenza se vinci o se perdi
quello che conta,che ha più importanza
è essere quello che sei

Cerca angoli di cielo, fantastiche visioni
per dare nuova luce ai tuoi occhi
lasciando entrare tutte le emozioni senza far finta che il dolore non ti tocchi
prendi tutti i suoni dal frastuono di ogni giorno
cerca in ogni notte un pò di sole
ama la tua vita, non lasciarla andare
ora è il momento,
non aspettare

mercoledì 4 luglio 2007

CABARET


Be' siccome sono in vena di musical ho pensato di recensire il padre dei musicall: Cabaret, praticamente un'istituzione.
All’inizio degli anni Trenta Berlinoil crollo della Borsa in America ha conseguenze vistose anche nel vecchio continente e anche in Europa soffia il vento della crisi, ma come un malato che non accetta il proprio male, ci si stordisce di musica e ballo. Stella della compagnia dell’epoca è Sally Bowles, giovane americana dalle forme giunoniche con una voce d’oro, e di forte libertà sessuale. Sally fa amicizia con uno studente inglese suo vicino di casa, Brian, non proprio un latin lover: Sally prende a cuore la causa dell’amico e cerca di porvi rimedio, pur continuando a flirtare con il barone von Heure, attratto anche da Brian, che rivela a Sally le sue propensioni omosessuali. Intanto, il nazismo avanza. Una coppia di amici di Brian e Sally è separata dalle leggi razziali. Sally rimane incinta, ma di chi? Brian parte per Londra, mentre Sally, dopo un aborto, torna a cantare nel cabaret.
Cabaret è una tragi-commedia berlinese e Fosse ha saputo circondarsi di formidabili professionisti: Liza Minnelli esprime a meraviglia il sapore acidulo di una «divina decadenza»; Joel Grey e Goeffrey Unsworth. I fasti morbosi del musical trovano il loro contrappunto in un documento sociale di preciso realismo. Ricostruzione d’epoca di qualità incontestabile, Cabaret vinse molti Oscar: per la regia, l’interpretazione (Minnelli e Grey), la fotografia, la scenografia, il montaggio, la musica.
VOTO: 7,5

COTTON CLUB



Nel mitico Cotton Club, locale jazz degli anni Trenta frequentato nella realtà da artisti del calibro di Duke Ellington, Coppola ambienta questa storia di musica, amore e gangster: protagonista il cornettista Gere, unico bianco a cui viene concesso di esibirsi sul palco tra musicisti rigorosamente neri. Il film coglie il Cotton Club di Harlem negli anni del suo massimo splendore, fra il '28 e il '31, quando i negri non vi sono ammessi se non come cantanti, musicisti e camerieri, la bella società dei bianchi va ad applaudirvi Duke Ellington e le altre star del jazz, e i mafiosi usano i night come base di lancio dei loro delitti. Padrone del Cotton Club è Owney Madden, un piccoletto che ha per socio lo spilungone Frenchy. Tra gli assidui c'è «l'Olandese», che controlla il racket delle scommesse. La sera in cui, travestiti da poliziotti, i killers della banda nemica irrompono nel locale per ammazzarlo, a salvare la vita dell’olandese è Dixie Dwyer, un suonatore di cornetta. Per mostrargli la sua gratitudine, l'Olandese lo prende con sé, e ne arruola anche il fratello. Ma mentre quest'ultimo è subito utilizzato per i traffici più loschi, Dixie ha l'incarico di accompagnare e proteggere Vera, la pupa del gangster. Impresa rischiosa, perché Dixie e Vera si piacciono, e tuttavia compiuta da Dixie con zelo fin quando, stufo d'essere il servo dell'Olandese, si porta in casa la ragazza e se la gode. Il boss è nero dalla rabbia e promette vendetta, anche perché il fratello di Dixie si è a sua volta ribellato, ma nel frattempo Dixie grazie a Owney, il padrone del Cotton Club, ha fatto carriera a Hollywood e nella malavita è spuntato l'astro Lucky Luciano. Sarà proprio lui a far uccidere l'Olandese e prenderà il controllo del Cotton Club e Dixie e Vera decidono di scappare. Lietissimo fine ha anche la storia parallela di Sandman Williams, un ballerino negro di tip-tap che dopo aver fatto ingelosire il fratello col quale danzava è stato perdonato di essersi messo in proprio, e ha potuto coronare il gran sogno di sposare la cantante Lila Rose.
Il film è un omaggio all'età del jazz: accuratissimo nella ricostruzione di luoghi e costumi e perfetta soprattutto la ricostruzione dell'epopea del gangsterismo newyorchese, riassunta nel nightclub leggendario in cui si ritrovarono fianco a fianco banditi e banchieri, divi e sgualdrine: anime perse in abito da sera.
Ottima prova di F. F. Coppola che ha dimostrato di poter girare film di diverso genere sempre con ottimi risultati. Sublime la prova attoriale di R. Gere che decide di non farsi doppiare da un cornettista di professione e si è dilettato con questo strumento. Ovviamente da applaudire la costumista del film che ha reso perfettamente la maniacalità dell'eleganza della moda dell'epoca.
VOTO: 7,5